Standard lavorativi? I poveri dicono no

* Professore di economia presso la Columbia University, Usa. Consigliere speciale delle Nazioni Unite sulla globalizzazione

In vista del vertice dell'Organizzazione mondiale del commercio (Word Trade Organization, Wto), che si terrà in Qatar a metà novembre, i più importanti Paesi in via di sviluppo (Pvs) respingono i tentativi di stabilire standard del lavoro minimi identici in tutto il mondo. In effetti dopo la gaffe di Clinton a Seattle nel 1999, allorché il presidente americano mostrò di prendere in considerazione l'imposizione di sanzioni commerciali per costringere ad applicare tali standard, la posizione dei Pvs si è considerevolmente irrigidita. Qualunque coinvolgimento del Wto sull'argomento del lavoro è fuori questione. Allo stesso tempo, molti deputati Democratici del Congresso Usa, il cui punto di vista è tributario di quello dei sindacati sulla questione, si sono radicalizzati nella direzione opposta. Il senatore Gephardt, leader della minoranza al Congresso ha affermato che i diritti dei lavoratori sono «centrali negli accordi commerciali Usa».

Apparentemente questo ragionamento sembra così plausibile che poche persone nei Paesi ricchi comprendono l'opposizione dei Paesi poveri al linkage (cioè l'interdipendenza) fra le due questioni. Spesso la considerano la prevedibile reazione di governi indifferenti agli interessi dei loro lavoratori. Eppure ci si dovrebbe chiedere perché anche un Paese certamente democratico come l'India (compresi tutti i suoi sindacati) si opponga a questo legame fra commercio e lavoro. Davvero sbagliano? La risposta è no. Ma per capire tale risposta occorre distinguere (e confutare) i due principali argomenti a favore del linkage, invariabilmente confusi nel dibattito politico attuale.

Il primo nasce dall'«egoistica» preoccupazione che i salari reali e le condizioni dei lavoratori nei Paesi ricchi peggiorerebbero se non si imponesse il linkage. L'altro sorge dalla preoccupazione altruistica circa i salari reali e le condizioni di lavoro nei Paesi poveri. Secondo questo punto di vista il linkage è necessario per garantire un livello minimo di protezione ai lavoratori all'estero. Nessuno dei due argomenti è valido.

Esaminiamo l'argomento egoistico. I sindacati temono il commercio coi Paesi più poveri perché ritengono che esso comprimerà i salari reali dei lavoratori, e pensano che nel momento in cui i capitali si dirigeranno nei Paesi poveri dove gli standard del lavoro sono bassi, nel Nord andranno persi gli standard conquistati con tanta fatica. I timori circa i salari reali hanno acquistato peso a partire dagli anni Ottanta, quando si è interrotto il trend positivo del dopoguerra. La ragione di questa inversione di tendenza, viene detto, è l'aumento del commercio coi Paesi poveri. Ma se esaminiamo la cosa più in profondità, questi timori svaniscono. Se le cose stessero davvero così, il risultato immediato sarebbe la caduta dei prezzi relativi dei beni ad intensità di manodopera come i tessili e le scarpe nel commercio mondiale. Al contrario, nel corso degli anni Ottanta il prezzo di questi prodotti è aumentato. La principale ragione dell'aumento sta in questo: la tesi secondo cui un numero sempre maggiore di Paesi poveri sarebbero diventati i principali fornitori mondiali di questi prodotti si è rivelata falsa. Anche i Paesi poveri progrediscono, diventano più ricchi e si ritirano dalle attività a intensità di manodopera per dedicarsi ad abilità ed esportazioni ad intensità di capitale, «assorbendo» le esportazioni dei nuovi fornitori.

Alla luce di questa mancanza di prove, le richieste di linkage possono essere interpretate soltanto come iniziative protezionistiche, miranti a danneggiare i concorrenti.

Che dire invece dell'argomento altruistico a favore del linkage? Condizionare l'accesso ai mercati all'adesione a certi standard del lavoro dipendente in sede di Wto crea due problemi: primo, fa delle sanzioni commerciali uno strumento per ottenere l'applicazione degli standard; secondo, rende responsabile della questione l'organismo. Le sanzioni commerciali portano in primo piano problemi complessi come quello del lavoro minorile, ma non possono risolverlo. A quest'ultimo fine, è più importante lavorare coi gruppi di pressione locali, i governi, le famiglie e le scuole. Il Programma per l'eliminazione del lavoro infantile dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) fa esattamente ciò che è necessario.

In conclusione, il linkage ira maggiore libertà di commercio e condizioni dei lavoratori non è giustificato. I principali Paesi ricchi hanno torto, e non è la prima volta.

MONDO E MISSIONE / OTTOBRE 2001, p.62